Nello scorso articolo ho pensato fosse utile per i lettori esaminare come argomento l’ansia, una delle principali e più frequenti sofferenze psichiche. Ho ritenuto opportuno, in questa sede e nei prossimi incontri, approfondire alcune forme di queste sofferenze che le persone si trovano a sperimentare.
Il disturbo di panico è una patologia piuttosto diffusa, ingravescente e fortemente invalidante. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne soffre tra l’1,5% e il 3,5 % della popolazione mondiale, soprattutto donne. Solitamente il decorso è cronico, tuttavia mentre alcune persone sperimentano attacchi di panico in modo continuativo, altre presentano intervalli di anni senza alcuna crisi. L’attacco di panico si può considerare la forma più acuta e intensa dell’ansia ed ha le caratteristiche di una crisi che si consuma nell’arco di circa dieci minuti.
Gli attacchi di panico, dunque, durano generalmente solo alcuni minuti, ma causano alla persona una considerevole angoscia. Oltre ad allarmanti sintomi fisiologici, come soffocamento, vertigini, sudorazione, tremore e tachicardia, gli individui con tale disturbo avvertono, sovente, una sensazione di morte imminente. La maggior parte di queste persone soffre anche di agorafobia (la paura d’essere intrappolato in un luogo o in una situazione dai quali la fuga può essere difficile o tremendamente imbarazzante). Nel caso in cui gli attacchi di panico sono ricorrenti, i soggetti che ne sono affetti spesso sviluppano una forma secondaria di ansia anticipatoria, preoccupandosi perennemente di quando e dove avverrà l’attacco successivo.
SINTOMATOLOGIA
Un attacco di panico si distingue dall’ansia continua per il tempo che impiega ad arrivare al picco d’intensità – che si verifica nel giro di alcuni minuti – per la sua natura discreta e la sua tipica maggiore gravità.
Tali improvvise crisi parossistiche sono caratterizzate da sintomi fisici di natura neurovegetativa che si associano a un vissuto psicologico di terrore, morte imminente e/o di perdere il controllo sui propri pensieri e sulle proprie azioni.
Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – DSM5 (American Psychiatric Association, 2014) un attacco di panico è un improvviso aumento di intensa paura o disagio che raggiunge un picco in pochi minuti, durante i quali si verificano quattro (o più) dei seguenti sintomi:
- Palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia
- Sudorazione
- tremori fini o scosse
- dispnea o sensazione di soffocamento
- sensazione di asfissia
- dolori o fastidio al petto
- nausea o disturbi addominali
- sensazioni di vertigine, di instabilità, di testa leggera o di svenimento
- brividi o vampate di calore
- parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio)
- derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi)
- paura di perdere il controllo o di impazzire
- paura di morire
PATOGENESI
Una teoria patogenetica con un certo grado di supporto empirico sostiene che i soggetti con disturbo da attacchi di panico hanno una vulnerabilità neurofisiologica predisponente che può interagire con specifici fattori stressanti ambientali per produrre il disturbo. Kagan, pioniere della psicologia evolutiva, e collaboratori (1988) hanno identificato una caratteristica temperamentale innata in un certo numero di bambini, definita come – Inibizione comportamentale a ciò che non è noto. Questi bambini tendono a essere facilmente spaventati da tutto ciò che è loro estraneo nell’ambiente. Per adattarsi a questa paura, fanno affidamento sulla protezione dei genitori. Crescendo apprenderanno, tuttavia, che i genitori non saranno sempre disponibili nel proteggerli e rassicurarli, possono allora esternalizzare la propria inadeguatezza proiettandola nelle suddette figure primarie, che considerano inaffidabili e imprevedibili. La reazione che ne consegue è provare rabbia per la loro incoerente disponibilità, inoltre tale emozione crea nuovi problemi, poiché i fanciulli si preoccupano che le fantasie rabbiose finiscano col distruggere e allontanare i genitori, lasciandoli privi di figure da cui dipendere per acquisire sicurezza (Bush et a., 1991; Milrod et al., 1997). Ne risulta un circolo vizioso in cui la rabbia del bambino minaccia il legame con il genitore e così accentua la dipendenza ostile e spaventata del piccolo.
E’ interessante, altresì, comprendere il disturbo di panico e la patogenesi in base alla prospettiva della teoria dell’attaccamento (per approfondimenti si veda articolo – Le esperienze nella prima infanzia che peso hanno nell’adulto di domani? – del 23 novembre, 2013); Shear (1996) in un studio preliminare sullo stile di attaccamento di donne affette da disturbi d’ansia, indicava che tutte avevano stili di attaccamento problematici (Manassis et al., 1994). La maggior parte di queste donne furono diagnosticate affette da disturbo di attacchi di panico, molte di queste presentavano uno stile di attaccamento preoccupato. Gli individui con tale disturbo spesso vedono la separazione e l’attaccamento come reciprocamente escludentesi. Hanno difficoltà a modulare la normale oscillazione tra separazione e attaccamento in quanto mostrano un’accentuata sensibilità sia alla perdita di libertà che alla perdita di sicurezza e di protezione. Tali difficoltà si traducono in un operare all’interno di uno spettro estremamente ristretto di comportamenti, queste persone tentano, nello stesso tempo, di evitare sia la separazione, ritenuta troppo minacciosa, sia l’attaccamento, sentito come troppo intenso. Questa limitata zona di tranquillità spesso si manifesta in uno stile di interazione nei confronti dell’Altro di tipo ipercontrollante.
CARATTERISTICHE
Quando si parla di disturbo di panico ci si riferisce a ricorrenti attacchi di panico inaspettati. Il termine ricorrente significa letteralmente più di un attacco di panico inaspettato, mentre il termine inaspettato indica che tale forma di disagio si riferisce a un attacco di panico per il quale non vi è un chiaro elemento scatenante al momento dell’avvenimento; in altre parole, la crisi sembra verificarsi di punto in bianco come quando l’individuo si sta rilassando oppure svegliandosi dal sonno (attacco di panico notturno). Al contrario, gli attacchi di panico attesi sono crisi per i quali vi sia un chiaro elemento scatenante, come ad esempio una specifica situazione stressogena.
Molti individui con disturbi di panico, oltre a preoccuparsi per il disagio che sperimentano e per le loro conseguenze, riferiscono anche sentimenti di ansia costanti o intermittenti che sono più ampiamente legati a preoccupazioni relative alla salute fisica e mentale. Per esempio, gli individui con tale disturbo immaginano, sovente, esiti catastrofici da un sintomo fisico o da un effetto collaterale farmacologico di lieve entità (per es. pensano di avere una cardiopatia o che un mal di testa indichi un tumore cerebrale).
Tali individui sono spesso relativamente intolleranti agli effetti collaterali dei farmaci. Inoltre, possono esservi preoccupazioni pervasive circa le capacità di portare a termine le attività quotidiane o di affrontare eventi stressanti quotidiani; possono, altresì, fare un eccessivo uso di medicinali e sostanze (per es. alcol, farmaci prescritti oppure droghe illecite) al fine di controllare gli attacchi di panico, o mettere in atto comportamenti estremi sempre volti al controllo degli stessi (per es. gravi restrizioni di assunzione di cibo oppure evitamento di cibi specifici o farmaci).
DISTURBO E COMPROMISSIONE DELLA QUALITÀ DI VITA
La qualità di vita di una persona che è affetta da disturbo di panico è notevolmente compromessa. Le modificazioni disadattive del comportamento che vengono messe in atto, rappresentano il tentativo di minimizzare o evitare gli attacchi di panico e le loro conseguenze. Tra i comportamenti di evitamento più diffusi si riscontrano:
- non utilizzare automobile, autobus, metropolitana, treno o aereo
- non frequentare luoghi chiusi (es. cinema, teatri)
- non allontanarsi da zone considerate sicure (es. la propria abitazione)
- non compiere sforzi fisici
I comportamenti protettivi più diffusi risultano essere:
- per chi assume farmaci, portare con sé i medicinali per l’ansia
- muoversi in zone in cui sono presenti strutture mediche
- allontanarsi da casa solo se accompagnati da persone di fiducia
- tenere sempre sotto controllo le uscite di sicurezza in ogni ambiente
Il disturbo di panico può essere particolarmente invalidante in quanto può avere ripercussioni sulla vita lavorativa (per es. rinunciare ad un lavoro per le difficoltà di spostamento), familiare (per es. tensioni interpersonali causate dalle frequenti richieste a familiari o amici di essere accompagnati) e sociale (per es. riduzione di relazioni a causa della difficoltà a frequentare luoghi pubblici).
La riduzione dell’autonomia, conseguente all’attuazione dei comportamenti protettivi e di evitamento, danneggia, a breve termine, la qualità della vita di chi è affetto da tale disturbo e dei suoi congiunti e, a lungo termine, il senso di efficacia personale e la stima di sé.
Il decremento dell’efficacia personale e dell’autostima, inoltre, a lungo andare possono produrre una depressione secondaria. Altra frequente conseguenza di questo disturbo è l’abuso di sostanze (in particolare l’alcool), a cui la persona può ricorrere come tentativo disperato di gestire la forma di disagio stessa o la depressione che ad essa può seguire.
TRATTAMENTO
I trattamenti riconosciuti come più efficaci per la cura del disturbo di panico, così come per ogni disturbo d’ansia, sono la psicoterapia e farmacoterapia (vedasi articolo – L’ ansia, uno strumento o un limite? – del 10 ottobre, 2014).
Nel trattamento di questo disturbo, la psicoterapia cognitivo – comportamentale ha dimostrato ampiamente e scientificamente la propria efficacia. Si tratta di un tipo di psicoterapia in cui paziente e terapeuta sono attivamente impegnati nella comprensione del problema e nella condivisione di obiettivi terapeutici concreti e verificabili.
Nel corso del trattamento la persona portatrice del disagio è aiutata a prendere consapevolezza delle spinte motivazionali che soggiacciono a un’impalcatura cognitiva e comportamentale disordinata, dei circoli viziosi del panico e a liberarsene gradualmente attraverso l’acquisizione di modalità di pensiero e di comportamento più funzionali.
La terapia farmacologia del disturbo di panico, qualora necessaria, prevede solitamente l’uso di due classi di farmaci: le benzodiazepine e gli antidepressivi. Le benzodiazepine, quali ad esempio Alprazolam, Clonazepam, Diazepam, Lorazepam producono solitamente un effetto ansiolitico immediato, tuttavia con il tempo possono portare problemi di dipendenza e sintomi di astinenza. Per tale ragione sono, solitamente, prescritte nella fasi iniziali della cura in associazione ad altri farmaci, gli antidepressivi, per essere gradualmente sospese quando interviene l’effetto di questi ultimi.
Tra gli antidepressivi, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) quali ad esempio, Paroxetina, Citalopram, Fluoxetina, Fluvoxamina e Sertralina rappresentano, ad oggi, una buona soluzione farmacologica per il panico poiché abbastanza efficaci e solitamente ben tollerati. Invece, gli antidepressivi triciclici – Imipramina, Clomipramina, Desipramina, Trimipramina e Dotiepina – sono solitamente prescritti a coloro che non hanno risposto agli SSRI, dal momento che spesso provocano fastidiosi effetti collaterali come bocca asciutta, stipsi o eccessiva sudorazione.
Infine, gli antidepressivi noti con il nome di inibitori delle monoaminossidasi (IMAO), pur essendosi dimostrati estremamente efficaci, vengono prescritti solo a pazienti che non abbiano risposto in modo soddisfacente agli altri trattamenti poiché tali farmaci comportano fastidiose limitazioni dietetiche e risultano incompatibili con l’assunzione di taluni altri medicinali.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association (2014). Manuale Diagnistico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM – 5). Raffaello Cortina Editore.
Bush, F.N., Cooper, A.M., Klerman, G.L. et al (1991) Neurophisiological, cognitive – behavioral, and psychoanalytic approaches to panic disorder: toward an integration. Psychoanalytic Inquiry, 11 pp. 316-332.
Kagan, J., Reznick, J.S., Snidman, N. (1988) Biological bases of childhood shyness. Science, 240, pp. 167-171.
Manassis, K., Bradley, S., Goldberg, S. et al. (1994) Attachment in mothers with anxiety disorders and thir children. J. Am. Acad. Child Adolesc. Psychiatry, 33 pp. 1106-1113.
Milrod, B.L., Bush, F.N., Cooper A.M. et al (1997) Manual of Panic – Focused Psychodynamic Psychotherapy. American Psychiatric Press, Washington.
La Dottoressa Nicoletta Dezi è psicologa e psicoterapeuta; laureata presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” e svolge l’attività clinica presso gli studi di Roma e Velletri. Dal 2006 svolge attività clinica di supporto psicologico a bambini e adulti, diagnosi dei disturbi dell’apprendimento nell’età evolutiva e riabilitazione cognitiva.
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Per chi volesse contattare direttamente la dottoressa Dezi, può inviare una mail al suo indirizzo: nicoletta.dezi@gmail.com
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