Mal di vivere…un’occasione per uscirne più forti

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Durante l’arco della vita, ogni individuo sperimenta almeno una giornata in cui si sente giù di corda, triste, irritabile o ancora un periodo in cui prevalgono sentimenti di tristezza o difficoltà nell’affrontare i compiti quotidiani dell’esistenza. Tuttavia, tali sentimenti non sono indice di un disturbo depressivo clinicamente identificabile, perché ciò avvenga devono verificarsi specifici sintomi che si protraggono per un certo tempo.

In questa sede ho scelto di approfondire tra i disturbi depressivi quello che è definito come Disturbo Depressivo Maggiore o meglio noto come Depressione Maggiore. Tale condizione è conosciuta come il male oscuro del secolo o mal di vivere e come ben si può comprendere dai termini è una delle esperienze più “pesanti” che destabilizzano profondamente l’individuo nel corso della vita.

Il disturbo depressivo maggiore è una patologia psichiatrica molto diffusa, che può colpire chiunque e a qualunque età, è estremamente invalidante e può compromette la vita della persona a 360°, sia per ciò che riguarda la sfera affettiva, sia cognitiva e sociale.

 CARATTERISTICHE

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Una persona che soffre di disturbo depressivo maggiore ha la percezione di essere senza speranza, senza poteri, né risorse, completamente impotente di fronte alla vita e agli altri.

Manca di energie per fare qualsiasi attività, che sia fisica o mentale e del resto niente sembra più interessante, né in grado di dare piacere. Può guardare la propria vita e tutto può apparire come un fallimento, un susseguirsi di perdite di cui sente, sovente, di essere colpevole.

Può, altresì, attribuire la responsabilità di tale stato di cose all’esterno, incolpando con rabbia gli altri, la vita, sentendosi vittima delle avversità, tale atteggiamento la condurrà ad un isolamento quasi inevitabile.

SINTOMATOLOGIA

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La caratteristica essenziale di un episodio depressivo maggiore è la presenza di un umore depresso o la perdita di interesse o piacere in quasi tutte le attività per un periodo che si protrae per almeno due settimane. Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – DSM5 (American Psychiatric Assosiation, 2014) perché si possa fare una diagnosi di questo tipo devono essere presenti almeno 4 sintomi aggiuntivi che possono includere: modificazioni dell’appetito o del peso, del sonno e dell’attività psicomotoria, diminuzione di energia, sensi di autosvalutazione o di colpa, difficoltà nel pensare, concentrarsi o prendere decisioni, oppure pensieri ricorrenti di morte, ideazione suicidaria o, ancora,  piani per commettere suicidio o tentativi di suicidio.

Così come già accennato, i sintomi devono persistere per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni, per almeno 2 settimane consecutive. Tale condizione è accompagnata da disagio clinicamente significativo o da compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. In alcuni individui con episodi più lievi, il funzionamento può apparire normale ma richiede un elevato sforzo.

Al fine di fornire una maggiore comprensione della problematica, esaminerò in dettaglio i molteplici sintomi.

L’umore, in un episodio depressivo maggiore, viene, sovente, descritto dalla persona come depresso, triste, disperato, scoraggiato o “giù di corda”, in alcuni casi, gli individui enfatizzano sintomi fisici, come fastidi o dolori corporei anziché riferire sentimenti di tristezza e in molti casi si evidenzia un aumento dell’irritabilità (per esempio rabbia persistente, tendenza a rispondere agli eventi con eccessi d’ira o avere un esagerato senso di frustrazione per questioni irrilevanti).

Nelle persone affette da questo tipo di sofferenza psichica, la perdita d’interesse o piacere è quasi sempre presente; possono, dunque, riferire di sentirsi meno interessati agli hobby o di non provare alcun piacere in attività precedentemente considerate interessanti. In alcuni vi è una significativa riduzione dell’interesse o del desiderio sessuale rispetto a periodo di vita precedenti.

La modificazione dell’appetito può riguardare sia la riduzione, sia l’aumento dello stesso.  Alcuni soggetti riferiscono di doversi sforzare di mangiare, mentre altri aumentano le quantità e hanno desiderio di particolari cibi come dolci o altri carboidrati. In alcuni casi, ciò può causare una considerevole perdita o aumento di peso corporeo.

I disturbi del sonno sono molto frequenti e l’insonnia, una delle principali manifestazioni del disturbo depressivo maggiore, si caratterizza per i numerosi risvegli, soprattutto nelle prime ore del mattino. La persona depressa riferisce di svegliarsi dopo poche ore di sonno, di non riuscire più ad addormentarsi e di essere costretto ad alzarsi alcune ore prima rispetto all’orario abituale; durante i periodi di veglia notturna pensa incessantemente alle disgrazie della vita e alle colpe del passato. Nonostante l’insonnia possa essere lieve, il depresso lamenta di non sentirsi riposato. In altri casi, la condizione depressiva può accompagnarsi a un aumento delle ore di sonno con ipersonnia, fino a una vera e propria letargia.

Le alterazioni psicomotorie, presenti in alcuni quadri depressivi, includono l’agitazione psicomotoria, che si manifesta con irrequietezza, difficoltà a stare fermi, continua necessità di muoversi, di camminare, di contorcere le mani e le dita, oppure un rallentamento che si può esplicare attraverso un eloquio, pensieri e movimenti del corpo ridotti e limitati.

Sono comuni la diminuzione dell’energia, astenia e faticabilità, ovvero, l’individuo può riferire una continua stanchezza in mancanza di una specifica attività fisica e in alcuni casi semplici azioni come lavarsi e vestirsi al mattino possono risultare estremamente faticose.

Molte persone riferiscono una ridotta capacità di pensiero, di concentrazione o incapacità di prendere decisioni anche semplici, possono, altresì, apparire facilmente distraibili o lamentare difficoltà di memoria.

La compromissione delle prestazioni intellettuali, la percezione della propria aridità affettiva e della propria inefficienza, portano il depresso all’ autosvalutazione, al disprezzo di sé, alla convinzione della propria inadeguatezza, talora accompagnati da un incessante ruminare sui propri sbagli e su colpe lontane. Il futuro è privo di speranza e il passato vuoto e inutile, valutato come pieno di errori commessi; la persona prova sentimenti di colpa e fa previsioni di rovina e miseria. Talora ritiene se stesso responsabile dei propri disturbi e dell’incapacità di guarire: convinto di poter “star meglio facendo uno sforzo”, si giudica indegno per la propria condotta, per la propria pigrizia, per il proprio egoismo.

Sono frequenti pensieri di morte, ideazione suicidaria o tentativi di suicidio. Le motivazioni al suicidio possono includere un desiderio di rinunciare a fronteggiare ostacoli percepiti come insormontabili o un desiderio intenso di porre fine a uno stato emotivo estremamente doloroso, percepito come ineluttabile, o, ancora, di evitare di essere di peso agli altri.

 EZIOPATOGENESI

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La comprensione della natura e delle cause del disturbo depressivo maggiore o comunemente definito come depressione si è evoluta nel corso dei secoli, anche se è tuttora considerata incompleta. Le cause proposte includono fattori psicologici, psicosociali, ambientali, ereditari, evolutivi e biologici.

Nonostante l’esistenza di una vasta letteratura che descrive i correlati neuro anatomici, neuroendocrini e neurofisiologici del disturbo depressivo maggiore, nessun esame di laboratorio ha dato risultati di sufficiente sensibilità e specificità per essere utilizzato come strumento diagnostico per questo disturbo. L’anomalia più studiata è l’iperattività dell’asse ipotalamo – ipofisi – surrene, che sembra essere associata alla melanconia, a caratteristiche psicotiche e a rischio suicidario. Studi di imaging con risonanza magnetica funzioanale forniscono evidenze per anomalie funzionali di specifici circuiti neuronali che supportano l’elaborazione delle emozioni e la regolazione delle stesse.

Alcuni studi hanno dimostrato che vi è una componente genetica che può favorire o meno lo sviluppo di un quadro depressivo. Una certa tendenza alla depressione, quindi, può essere ereditaria. I soli fattori biologici, tuttavia, non spiegano lo sviluppo della patologia. Dalle ricerche scientifiche emerge, infatti, che se un gemello è depresso, l’altro gemello, dotato dello stesso corredo genetico, ha una probabilità di sviluppare sintomi depressivi del 50-70%, non del 100% (Kendler e coll., 1993). Tali studi rivelarono che il ruolo dei fattori genetici era sostanziale ma non decisivo. Il fattore predittivo più influente sembrava essere la presenza di eventi stressanti recenti. Due altri fattori, le relazioni interpersonali e un temperamento caratterizzato da aspetti nevrotici, giocavano un ruolo significativo da un punto di vista eziologico.

Tra gli altri fattori che possono influenzare lo sviluppo di un quadro depressivo si evidenziano, appunto,  quelli ambientali. Gli eventi stressanti più potenti sembrano essere la morte di una persona cara, violenze, gravi problemi coniugali e divorzi o separazioni. Tuttavia, esistono molti dati che, indicano come precoci esperienze di abuso, di abbandono o di separazione, possano creare una sensibilità neurobiologica che predispone gli individui a rispondere a fattori stressanti in età adulta con lo sviluppo di un episodio depressivo maggiore. Kendler e collaboratori (1992), per esempio, hanno riscontrato un aumentato rischio di disturbo depressivo maggiore in donne che durante l’infanzia erano state separate dalla madre o dal padre.

 DISTURBO E COMPROMISSIONE DELLA QUALITA’ DI VITA

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La compromissione della qualità di vita di un individuo affetto da questo tipo di sofferenza psichica può essere molto lieve, al punto che coloro che interagiscono con la persona affetta da questa patologia non riconoscono la presenza di sintomi depressivi. Tuttavia, può variare fino alla completa inabilità, al punto che l’individuo appare incapace di far fronte alle necessità di base per la cura di se stesso, mostrando mutacismo – si rifiuta di utilizzare il linguaggio verbale – o catatonia.

Tra gli individui osservati in sede di ricovero ospedaliero, quelli con disturbo depressivo maggiore riferiscono più dolore, malattie fisiche e una marcata diminuzione del funzionamento fisico, sociale e di ruolo. Il depresso sente se stesso, la propria vita, la realtà circostante secondo una trasformazione peggiorativa che colora tutto di qualità spiacevoli e dolorose. L’esistenza del depresso si svuota di significato e d’interesse, è vissuta nella solitudine, la morte è vista come liberatrice.

Cambia il modo di essere nel mondo, soprattutto nei parametri del tempo e dello spazio. C’è la paralisi del divenire, il peso del passato si dilata, pochi atti del passato connotano tutta la storia personale e si caricano di negatività, il passato non ha più esperienze piacevoli, la nostalgia è dolorosa, il futuro inaccessibile, sbarrato, non è contemplata nessun tipo di progettualità, il presente si contrae, diventa immodificabile.

 TRATTAMENTO

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Esistono ad oggi differenti tipi di trattamento per questo tipo di sofferenza psichica. Dagli studi scientifici emerge che attualmente le cure più efficaci per il disturbo depressivo maggiore sono il trattamento farmacologico e la psicoterapia. L’analisi della letteratura indica che, la terapia cognitivo – comportamentale è, ad oggi, una delle forme di psicoterapia la cui efficacia sia supportata da studi controllati.

Il trattamento farmacologico sembra  rivelarsi cruciale soprattutto nei casi in cui il disturbo si presenta in forma moderata o grave e negli stati acuti. Gli antidepressivi rappresentano i farmaci di elezione per il suddetto disturbo. Per verificare quali siano gli effetti dei farmaci è necessario attendere tra le 2 e le 4 settimane. In alcuni casi possono presentarsi degli effetti collaterali, alcuni dei quali possono diminuire nel corso del trattamento. È importante ricordare che la prescrizione dei farmaci può essere compiuta esclusivamente da un medico specializzato, ovvero da uno psichiatra.

Differentemente, l’approccio psicoterapeutico permette, invece, alla persona di individuare le cause sottostanti la sintomatologia depressiva.

Così come ho precedentemente chiarito in alcuni articoli precedenti, il sintomo non è altro che “l’inciampo” che permette all’individuo di comprendere che qualcosa nel suo funzionamento è andato errato. Questo profondo senso di tristezza, di perdita di interesse e piacere nei confronti della vita sono semplicemente la “punta dell’iceberg” e che, tuttavia, esistono delle cause che vanno rintracciate; in realtà, è un avvertimento prezioso, è l’azione di risposta perfetta che l’organismo e l’anima producono per insegnare a correggere l’individuo a fare pace, ad integrarsi con le caratteristiche dell’essere, tale condizione è ordinata, quindi, a produrre la volontà per un faticoso itinerario verso la vera realizzazione di sé.

Attraverso un trattamento terapeutico di tipo cognitivo – comportamentale, si incrementa e si favorisce la consapevolezza nella persona, pertanto, si definisce il funzionamento della mente, dunque, come le emozioni e i sentimenti siano strettamente connessi ai pensieri, detti “pensieri automatici”, i quali interpretano gli eventi influenzando così il comportamento. Tali pensieri – costituiti da parole, immagini o ricordi che attraversano la mente – sono il frutto dell’apprendimento avvenuto durante le nostre esperienze passate e il risultato di tali apprendimenti genera alcune regole che automaticamente la mente attiverà quando si vivranno esperienze più o meno analoghe. L’approccio cognitivo permette, dunque, di individuare e modificare le distorsioni cognitive e i “Bias” che  intervengono nel disturbo depressivo, inoltre l’analisi funzionale del suddetto e la ricerca dei fattori di mantenimento interpersonali, costituiscono un aspetto fondamentale dell’approccio; anni di ricerca in ambito clinico hanno dimostrato che la “personalità depressiva” si caratterizza, appunto, per la peculiarità di alcuni “schemi” rigidi (doverizzazione, interpretazioni catastrofiche, visione degli altri distorta ecc.) che possono, specie in presenza di eventi stressanti, predisporre al disturbo depressivo. Pertanto, uno degli obiettivi della psicoterapia è di modificare tali schemi, consentendo all’individuo una visione più realistica e positiva del mondo.

Per concludere, la psicoterapia e, in alcuni casi, negli stati gravi e/o acuti, i trattamenti combinati (psicoterapia associata alla farmacoterapia), risultano essere più efficaci nella prevenzione delle ricadute rispetto al solo trattamento farmacologico.

 BIOGRAFIA

American Psychiatric Association (2014). Manuale Diagnistico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM – 5). Raffaello Cortina Editore.

Glen O. Gabbard Psichiatria Psicodinamica, Raffaello Cortina Editore (2002).

Kendler, K.S., Neale, M.C., Kessler, R.C. ET AL. (1992) Childhood parental loss and adult psychopatology in women: a twin study perspective. Arch. Gen. Psychiatry, 152, pp. 833-842.

Kendler, K.S., Kessler, R.C., Neale, M.C. (1993) The prediction of major depression in women: toward an integrated etiological model. Am. J. Psychiatry, 150, pp. 1139-1148.

Kendler, K.S., Kessler, R.C., Walters, E.E. ET AL. (1995) Stressful life events, genetic liability, and onset o fan episode of a major depression in women. Am. J. Psychiatry, 152, pp. 833-842.

 

Nicoletta DeziLa Dottoressa Nicoletta Dezi è psicologa e psicoterapeuta; laureata presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” e svolge l’attività clinica presso gli studi di Roma e Velletri. Dal 2006 svolge attività clinica di supporto psicologico a bambini e adulti, diagnosi dei disturbi dell’apprendimento nell’età evolutiva e riabilitazione cognitiva.
Per saperne di più (clicca qui)

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Per chi volesse contattare direttamente la dottoressa Dezi, può inviare una mail al suo indirizzo: nicoletta.dezi@gmail.com

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