CRONACA – Che fine ha fatto il progetto dell’inceneritore di Albano? Dopo l’avvio del processo Cerroni i media mainstream hanno progressivamente lasciato il problema agli organi di informazione locali. L’annuncio che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha dato via libera alla costruzione dell’inceneritore di Albano ha però risvegliato l’interesse degli addetti ai lavori e dei residenti. “La Notizia Oggi” si è fatta carico di un’inchiesta per svelare tutti i retroscena della vicenda. In questa prima puntata racconteremo l’antefatto che ha preceduto la decisione del Tar. Nel 29 dicembre 2008 il Coema, una società per azioni composta da Ecomed (Ama e Acea) e dall’impresa privata Pontina ambiente (Gruppo Cerroni), affermò in una lettera che la cantierizzazione per realizzare l’impianto di termovalorizzazione rientrava nei limiti di tempo imposti dall’Unione europea.
I fondi comunitari stanziati per l’impresa ammontavano a mezzo miliardo di euro Cip – 6. La sigla sta a indicare la delibera del Comitato interministeriale prezzi del 29 aprile 1992, adottata a seguito della legge n. 9 del 1991. La delibera prevede che le bollette energetiche degli italiani siano sovraccaricate del 7% per incentivare la diffusione delle energie rinnovabili e “assimilate”. Questi soldi pubblici (circa 35 miliardi di euro) sono indirizzati presso costruttori e gestori di inceneritori. Ma torniamo al cantiere. Le dieci foto fornite dal Comitato No Inc, foto accreditate a livello giudiziario dalla Società per azioni rilevamenti aerofotogrammetrici, mostravano solo dei paletti circondati da una recinzione. Sia per le leggi italiane che per quelle europee una situazione del genere non costituisce un cantiere.
Tuttavia, l’allora ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, prima di essere travolto dai noti scandali giudiziari, intervenne con una lettera alla fine di aprile del 2009, dando ragione alle affermazioni del Coema. Nel giugno del 2009 il Gestore dei servizi energetici allegò lo scritto ministeriale alla convenzione con il Coema. Nonostante l’accesso agli atti fu richiesto dal Comitato No Inc, dai comuni interessati e dal Consigliere regionale Ivano Peduzzi, fu negato a tutti. Arriviamo quindi a ottobre 2013. Il deputato Federica Daga riuscì a rendere pubblica la convenzione e la lettera, permettendo alla controparte di dimostrare che il cantiere dal 2007 a oggi non era progredito. Di conseguenza, la lettera del Ministero dichiarava probabilmente il falso.
E i soldi? Dal 31 dicembre 2008 questo mezzo miliardo di euro non può più essere utilizzato per fonti energetiche non rinnovabili e l’inceneritore ovviamente non lo è. Così è stato deciso nel 2004 dalla Commissione europea, che ammonì l’Italia, dichiarando che l’incenerimento non è una forma rinnovabile di energia. Dunque, qualsiasi inceneritore non ha i requisiti necessari per ricevere gli incentivi pubblici. (Chiunque è interessato a collaborare alla nostra inchiesta può contattarci all’indirizzo email: redazione@lanotiziaoggi.it)
Mirko Giustini