CULTURA – “Chissà se in quel piccolo angolo di cielo dove hai deciso di rifugiarti, prima di darci il tempo di prendere un ultimo caffè assieme, tramonterà qualche volta il sole e se assumerà lo stesso tuo amatissimo colore, il rosso”. Rosso Sciamè è ora il colore che tiene caldo il ricordo di Vincenzo Sciamè, pittore famosissimo che ci ha lasciati questa mattina a 73 anni. Non riusciamo a scrivere senza sprofondare nei ricordi e soprattutto nel ricordo della dolcezza dei suoi occhi azzurri. Lo ricordiamo impegnato e fiero del suo lavoro, nel suo laboratorio artistico, immerso nella zona nord della campagna di Velletri.
Un piccolo casale, dove bastava scostare una tenda per entrare nel suo mondo delle meraviglie. Le pareti completamente ricoperte delle sue opere, piccole ed enormi, capaci di tappezzare un muro intero. Paesaggi visionari, donne bellissime e misteriose come il colore che amava a cui aveva saputo donare una sfumatura particolarissima e che siglava ogni sua opera quasi che la sua firma non servisse più. Era il Rosso Sciamè e tanto bastava. Lo ricordiamo circondato di gente e di quadri nella sua personale a Genzano, presso il palazzo Sforza Cesarini, dove abbiamo scoperto una maestria nel suo lavoro che secondo la nostra modestissima opinione lo elevava a grandissimo maestro d’arte, quella del disegno. In molte teche ci siamo soffermati, incantati, a seguire i tratti della matita e della china che aveva usato. Senza uso del colore, il disegno lasciava spazio ad ogni immaginazione e ogni angolazione di luce.
Il maestro del rosso, insuperabile nell’uso del bianco e del nero. E poi i caffè, rubati la mattina presto, per parlare brevemente dei suoi progetti, dei nostri progetti, della sua Sicilia, della nostra Italia, del nostro Sud, con la promessa di un ritratto personale che non si realizzerà più e poco importa ormai, perchè volevamo soprattutto, e ancora, rubare un altro caffè assieme. Non aveva mai pensato in piccolo per la sua arte, aveva esposto in tutta Italia ed è conosciutissimo all’estero.
Aveva insegnato l’arte della pittura, ne conosceva profondamente le dinamiche che sono soprattutto interne, espresse attraverso l’ispirazione che fa da filo conduttore ad una vita d’artista come la sua. Non abbiamo, come potete leggere, voluto scrivere alcuna breve biografia, ma abbiamo voluto ritrarre (Eh già!) un ricordo di un amico che abbiamo solo fatto in tempo a chiamare il giorno del suo compleanno con la promessa che la stagione estiva ci avrebbe permesso, finalmente, di essere liberi di sederci e parlare amabilmente di tutto, come spesso, per fortuna, era accaduto in passato.
Ci manchi e ci mancherai ancora a lungo. Se qualcuno affermerà che gli artisti non ci lasciano mai, che il loro vuoto è pur sempre riempito dalle loro opere, mentirà. E’ il contrario. Il vuoto che un’artista lascia è un vuoto speciale, che non si colma e non si può colmare solo con l’adorazione di un’opera d’arte, con la morte di un Maestro si spezza un discorso, che ha sempre un senso più alto rispetto agli altri, perchè gli artisti (quelli veri, come Vincenzo) sono capaci di vedere dove noi non vediamo nulla, sanno tramutare i sentimenti, li sanno assecondare e fermare in un tempo infinito, in un’opera. Quando si perde un artista si perde una chiave di apertura a mondi che ai più sono sconosciuti e rimarranno tali. E la morte di Vincenzo terrà chiuse, per sempre, troppe porte.
Raffaella Feraco