Davide Cervia |
ATTUALITA’– Sono passati 21 anni dal giorno del rapimento di Davide Cervia, originario di Sanremo ma residente da anni a Velletri con la moglie Marisa e i loro due figli, Erika e Daniele. Esperto di guerre elettroniche, Davide Cervia sparì nel nulla in una serata di settembre e non fece più ritorno a casa dalla moglie e dai suoi due bambini.
Le ipotesi sulla scomparsa furono le più variegate ma nel corso del tempo ha preso sempre più forma la possibilità che la sua altissima esperienza in fatto di tecnologia e uso di armi elettroniche abbia segnato il suo destino. Il 2 agosto 1990 scoppiò la guerra del Golfo, a settembre dello stesso anno, Davide Cervia, sergente della Marina Militare, scomparve. Da allora i parenti non si sono mai arresi, cercando di coinvolgere autorità e cittadini per trovare finalmente la soluzione al mistero e riportare a casa Davide. Tra le ipotesi dei familiari, la possibilità che Davide si trovi in Libia e la recente scomparsa di Gheddafi potrebbe aprire, perciò, nuove speranze. Alla luce di questi fatti, pochi giorni fa, i figli hanno scritto una lettera al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano.
L’intervista a Erika Cervia al Tg3
Tutta la storia di quest’uomo è stata perfettamente descritta nella lettera che Daniele e Erika hanno inviato al Presidente della Repubblica e che di seguito pubblichiamo:
“Egregio Signor Presidente Napolitano,
siamo Erika e Daniele, figli di Davide Cervia, ex sergente della Marina rapito (sentenza n°2/98 Procura Generale Corte d’Appello di Roma) alle porte di Roma il 12 settembre 1990, alla vigilia della prima guerra del Golfo. Prima di citarle i motivi che ci hanno spinto a scriverLe questa lettera, vogliamo riassumere brevemente chi è Davide Cervia.
Nostro padre si arruolò in Marina, come volontario, nel 1978 e frequentò il corso per ETE/GE (Tecnici elettronici/Guerra elettronica) presso Mariscuole di Taranto dove fu l’unico a conseguire tutti i brevetti previsti per i tecnici elettronici: ECM (Contromisure elettroniche disturbo emissioni radio altrui), ESM (Ricerca segnali comunicazioni radar), ECCM (Disattivazioni disturbo nemico). Studiò insieme ad altri tecnici in una palazzina a piano terra: per l’ingresso c’erano combinazioni segrete e cassaforti per ogni allievo per riporci i documenti; la brutta copia degli appunti doveva essere distrutta con il tritacarta e bruciata in appositi inceneritori. Dal corso in questione uscirono circa 20 tecnici, di cui uno solo era un GE.
Nel 1980 venne trasferito a La Spezia dove, insieme ad altri tecnici, curò il montaggio di apparecchiature segretissime del sistema “Albatros” sulla nave “Maestrale”, gioiello della flotta italiana. Fu l’unico ad occuparsi della manutenzione delle apparecchiature in questione, costruite da almeno 20 aziende differenti. Poiché i sofisticatissimi armamenti elettronici della nave “Maestrale” erano sconosciuti perfino agli istruttori della Marina, frequentò dei corsi di perfezionamento presso due importanti aziende belliche (SMA di Firenze e Selenia di Roma) diventando lui stesso istruttore e uno dei massimi specialisti in sistemi d’arma elettronici: tra i primi 10 in Europa e il migliore in Italia.
Per la delicatezza delle sue cognizioni, la NATO gli impose il “NOS” nulla osta di sicurezza, vincolandolo alla segretezza massima e al silenzio con tutti: nessuno al di fuori della Marina doveva sapere della sua specializzazione. La passione per il suo lavoro, che lo portava spesso lontano da casa, lasciò il posto all’amore per nostra madre e per noi figli. Si congedò alla fine del 1983. La sua vita procedette tranquilla, fin quando, il 12 settembre 1990 venne prelevato con la forza davanti casa, divenendo vittima di un illecito traffico d’armi supersofisticate e di tecnici altamente preparati, che, come dimostrano le migliaia di documenti in nostro possesso, una parte delle istituzioni italiane, a vari livelli, ha volutamente coperto fino a oggi.
Ci rivolgiamo a Lei, signor Presidente, perché in questi lunghi 21 anni oltre ad aver subito la perdita di un padre, rispettivamente a 6 e 4 anni, siamo stati ripetutamente presi in giro dallo stesso Stato che pensavamo ci avrebbe aiutato nella ricerca della verità su nostro padre. Le nostre parole non sono ispirate semplicemente dalla rabbia, ma fanno riferimento ad avvenimenti realmente accaduti in questi lunghi anni di lotte e ricerche. Di seguito troverà degli esempi che meglio Le faranno comprendere ciò che stiamo dicendo.
Il 13 settembre 1990, la famiglia denunciò la scomparsa di nostro padre ai Carabinieri di Velletri, comunicando la targa della vettura sulla quale viaggiava e consegnando una sua foto. I Carabinieri diffusero la targa al terminale della Questura centrale solo il 17 settembre, ben 4 giorni dopo la scomparsa e smarrirono la foto.
I testimoni che dichiararono di aver assistito al rapimento di nostro padre furono per lungo tempo ignorati da chi svolgeva le indagini.
Nostra madre venne ascoltata dal magistrato (Sostituto procuratore Romano Miola e Procuratore della Repubblica Vito Giampietro) solo dopo 6 mesi dalla scomparsa e obbligata a rispondere solo con un “Si” o con un “No”.
Continue minacce, telefonate mute, pedinamenti ai danni della famiglia, dei testimoni e di tutti coloro che collaboravano per la verità.
Dopo il ritrovamento dell’auto di nostro padre, arrivò alla famiglia l’offerta di 1
miliardo di lire, immediatamente rifiutata, per tacere e non occuparsi più del caso.
Un organismo dei servizi segreti che avrebbe dovuto garantire l’incolumità dei tecnici superspecializzati in congedo, per nostro papà non funzionò, come ammise il generale Ezio Piperni.
Due appelli del Papa inascoltati.
La Marina fornì ben 5 fogli matricolari (Curriculum professionale dei militari) su nostro papà, sui quali vennero omesse specializzazioni, non compariva le sigla GE (Guerre elettroniche), non si menzionavano le industrie belliche (SMA di Firenze e Selenia di Roma) presso le quali nostro padre partecipò ai corsi di perfezionamento già citati e non risultava addirittura lo stato civile. Solo il 5° foglio matricolare, ottenuto dopo l’occupazione da parte della famiglia e di vari giornalisti dal Ministero della Difesa e della Marina, corrispondeva a verità.
Il ministro della Difesa Salvo Andò rassicurò pubblicamente la famiglia, nel corso di una trasmissione televisiva, che un gruppo di lavoro del SISMI (Servizio segreto militare) oggi A.I.S.I., si stava occupando del caso. Il gruppo di lavoro, con a capo il generale Cesare Pucci, formato da specialisti di antiterrorismo, armi, controspionaggio, basò le sue indagini esclusivamente su articoli di giornale fino ad allora pubblicati, notizie raccolte dalle interrogazioni parlamentari e dai familiari. Il risultato non fu un avanzamento delle indagini, ma una conferma di quanto aveva sostenuto la famiglia fino ad allora: nostro padre era stato rapito “Ad opera di società o organizzazioni verosimilmente straniere, per interessi commerciali-militari legati alla sua competenza professionale”.
Decine di interrogazioni parlamentari e delle risposte ridicole in contraddizione con lo stesso SISMI e con l’ultimo foglio matricolare: “Cervia aveva una semplice qualifica. L’Italia non ha mai venduto armi a paesi Mediorientali”.
150.000 cartoline firmate da comuni cittadini per chiedere la verità sul caso Cervia, indirizzate all’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, rimaste senza alcuna risposta.
Il 23 dicembre ’96 il sottosegretario agli Esteri, Serri, convocò nostra madre informandola che si stavano avviando le trattative per il rilascio di nostro papà. La data fissata per un incontro con i vertici libici era il 17 febbraio ’97. Nessuno ci fece sapere più nulla.
Vicenda Air France. Il 6 gennaio ’91, nove giorni prima dello scoppio della 1° guerra del Golfo, comparve su un volo Air France, Parigi-Il Cairo, il nome di nostro padre accompagnato da un’altra persona non identificata. Il biglietto venne acquistato dal Ministero Francese degli Affari Esteri. A sostenere l’esistenza del biglietto fu un ex direttore in pensione della sede italiana della compagnia aerea francese, il signor Froncois Rouget. Tale circostanza venne confermata da altri 4 dipendenti della Air France. Anche la Francia o meglio, i servizi segreti francesi sanno la verità su nostro padre.
La Procura di Velletri non indagò sul caso per 8 anni (’90-’98) per carenza di organico…
Il 29 gennaio 2000 la Procura di Roma, archiviò il caso confermando la tesi del rapimento a opera di ignoti, impossibili da identificare visto il lungo tempo trascorso dal rapimento.
Quanto Le abbiamo elencato rappresenta solo una parte dell’insabbiamento che alcune istituzioni italiane hanno operato sulla vicenda, ecco perché dopo 21 anni, come figli di Davide Cervia, pretendiamo una risposta concreta, essendo Lei Primo Garante della Costituzione e dello Stato, Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e Comandante in Capo delle Forze Armate, affinché si faccia finalmente luce su questo agghiacciante Mistero di Stato”.