Lo Yoga, oggi, messo sovente in caricatura per l’importanza data a movimenti meccanici o acrobatici che fanno di questo piuttosto un omonimo di questa vera Scienza millenaria e Disciplina psicocorporea spirituale, è arrivato ad essere per molti una pratica solo corporea volta alla ricerca del benessere fine a se stesso. Infatti è ormai da tempo che il termine yoga si è radicato anche negli ambienti di chi pratica altre forme di educazione fisica e in qualche modo nobilita chi lo usa abbinandolo arbitrariamente.
Basti pensare che nella visione metafisica dello Yoga la dimensione corporea, va sì considerata in quanto esperienza primaria di autoconoscenza, ma è solo esperienza di passaggio in quanto è dimensione relativa alla personalità egoica, ovvero proprio quella personalità che si vuole trascendere per aprirsi all’essere in comunione con l’organicità della totalità, con l’essere Uno, con quella Totalità oltre le forme. In parole semplici, lo Yoga va oltre “nama” e “rupa”, ossia nomi e forme con cui rivestiamo la nostra esistenza per andare all’essenza del nostro Essere ed è del tutto evidente che la dimensione corporea, pur facente parte intrinseca di noi, non è tutta la nostra vita, la nostra reale essenza. Motivi storico culturali hanno fatto deviare dal vero obiettivo una volta che lo Yoga si è impiantato in Occidente. Pure in India, non si creda, si è nel tempo alimentato tale fraintendimento.
Il motivo di tale sviamento dal vero obiettivo che si propone lo Yoga inteso invece come Scienza spirituale secondo la Tradizione trasmessa dai testi e dal confronto con le Scuole e Maestri autentici, è solo un fattore di convenienza, nonché d’ignoranza culturale e scientifica. Altra causa invece potrebbe essere la superficialità con cui ci si approccia a un tale percorso e alla poco profondità o al desiderio di mettersi in gioco fino in fondo di chi ci si dedica. Basti fare una considerzione, ed è la seguente: lo Yoga è un percorso per liberarsi dalla sofferenza “dukkha”, sofferenza che sappiamo essere sia esperienza universale di tutti, sia dovuta a diversi fattori. Ma la sofferenza è legata al mondo fenomenico e alla personalità psichica. Ora la sofferenza è imparentata col mondo dei bisogni, dei desideri, appunto dei “nomi” e delle “forme” con cui ci rivestiamo nel mondo.
Che dire dunque di uno yoga la cui diffusione generalizzata lo ha portato si ad entrare nella vita delle persone come un mezzo per rischiararle, alleggerirle, farle stare bene. Ma se il prezzo da pagare è far tacere l’ego con le sue pretese e i suoi piaceri o i suoi desideri smodati, beh allora, si dice, andiamoci piano, meglio soffermarsi solo su effetti che tutto sommato non mi aprono a cambiamenti profondi, forse a rivoluzionare interamente la mia vita. Questo pericolo di una interpretazione falsata è sia degli allievi, sia degli insegnanti, o meglio lo è degli allievi in quanto hanno determinati insegnanti. E su questo torneremo. Che lo Yoga, praticato come si deve, abbia degli effetti veramente notevoli in chi lo pratica seriamente, vorrei esemplificarlo ricorrendo alle recente Neuroscienza moderna che cerca un ponte di collegamento tra lo sviluppo del cervello e lo sviluppo della consapevolezza. Sappiamo da questi studi che l’uomo medio utilizza solo il 10 o il 15 per cento del proprio potere mentale e per implementare le funzioni cerebrali della corteccia serve aumentare il numero delle connessioni neuronali.
Questo però è strettamente legato all’energia disponibile all’organismo. Ora, per entrare subito nel parallelismo che cerco di
spiegare in questo articolo, nello pratica dello Yoga e della Meditazione, le facolà superiori del cervello, che sono latenti, devono essere illuminate e risvegliate attraverso due importanti pratiche yogiche note come “dharana” e “dhyana”. La prima è una tecnica di concentrazione che mira alla continuità del processo mentale fissando la propria attenzione su un oggetto o una idea.
Se questa continuità circolare avviene, ecco aprirsi la porta della seconda pratica che è l’emergere dello stato meditativo, ossia la fusione delle mente con l’oggetto di contemplazione. Queste due pratiche ampiamente conosciute e praticate da chi vive lo Yoga
seriamente, rafforzano i circuiti elettromagnetici del cervello così da abituarlo a gestire l’energia ad alto voltaggio conseguente alla meditazione. Queste pratiche formano canali e percorsi attraverso cui l’energia può essere trasmessa a tutti i punti del cervello. Se però tutto questo non è supportato da tutta una serie di preliminari atti a preparare la cosiddetta “illuminazione” (e qui il termine pare davvero appropriato), si possono verificare dei cortocircuiti perché il cablaggio del cervello non è in grado di sostenere l’afflusso delle potenti correnti generate nelle aree silenti del cervello.
Non è un caso che lo “Yoga Classico” o “Yoga Regale”, sia un percorso senza soluzione di continuità che va dalle posture del corpo all’educazione al respiro, dall’esperienza del respiro nelle sue diverse manifestazioni, al controllo delle sfera emotivo volitiva strettamente connessa all’apparato sensorio e mentale, intellettivo e conoscitivo, da questo all’apertura di coscienza e alla percezione di una presenza a se stessi più ampia, espansa, in comunione con il tutto. Da qui, all’inizio, come alla fine del percorso yogico, uno sviluppo etico progressivo, in quanto l’energia ritrovata a contatto con se stessi e in accordo con l’ambiente che ci circonda, sblocca, libera, apre l’individuo a un ordine interiore e a una maggiore armonia, come a una legge interiore che corrisponde alle leggi che regolano tutto l’universo. E’ l’esperienza del “dharma”, la legge universale inscritta in ciascuno. Le Neuroscienze moderne parlano di un cervello “triunico”, ovvero di tre strati del cervello medesimo, sede di differenti impulsi e capacità dell’uomo. Il cervello rettiliano è il più antico, sede degli istinti primari, delle pulsioni base come la sopravvivenza e la riproduzione. Il cervello paleommamaliano, o sistemo limbico, rappresenta un processo di evoluzione del sistema nervoso perché aiuta a procurare tutto ciò che serve ad affontare e migliorare l’ambiente. Tale cervello è sede della capacità di apprendere dall’esperienza. E’ di norma il cervello ben sviluppato dell’adulto, sede della memoria.
Questo cervello è funzionale, utile si, ma ripetitivo e poco creativo, infatti si alimenta condizionato prevalentemente dal passato. L’ultima parte del cervello è quella neocorticale (neomammaliano), normalmente con vaste parti del cervello addormentate, silenti, ma la neocorteccia è fondamentale per l’autoriflessione e l’autotrascendenza, ossia per la vera e propria coscienza. Ora, i processi di espansione della consapevolezza, qualità più alta della coscienza, attivano le connessioni neuronali aprendo a nuove capacità creative. Man mano che si aprono nuovi circuiti, la visione della vita, del mondo, si amplia, la connessione con gli altri si approfondisce, si esce dai meccanismi limitanti e una nuova e grande libertà si dischiude. Per la Psicologia del Profondo, questo equivale a lasciar emergere sempre più materiale dell’inconscio verso la mente conscia. Tale processo però va guidato saggiamente. I recenti studi di Neurobiologia dicono che questo processo di espansione del numero delle connessioni neuronali, richiede una grande energia perché il cervello consuma circa il 20% dell’energia corporea totale, come il cuore del resto.
Ed è qui che può innestarsi fruttuosamente la pratica dello Yoga, una pratica che è a doppio senso, un po’ come il nostro sistema nervoso. Un primo approccio sarà quello di aumentare l’energia e la vitalità del sistema corpo-mente, con esercizi che aprano tutto il corpo al respiro profondo, “sgabbiandolo” si dice, facendo esperienza di una respirazione completa, addominale/diaframmatica – toracica – clavicolare, che apporti molto ossigeno, trasformato prontamente dall’organismo in energia per le cellule. Un secondo approccio è ridurre il consumo energetico del sistema corpo-mente mediante il rilassamento profondo, la distensione tatale, “corpo disteso, mente distesa”, l’abbandono e la non resistenza allo sforzo. Questo attitudine non solo corporea ma soprattutto mentale, libera tensioni croniche muscolari e conflitti di vario genere.
Man mano che sorge questa calma profonda, questa presenza rilassata a se stessi, il surplus energetico che si crea, diventa disponibile per illuminare le aree silenti del cervello, in un circuito che una volta instaurato si autoalimenta. Comprendiamo bene allora perché lo Yoga è un percorso per espandere la coscienza oltre i limiti del sé psico-corporeo. Attraverso le pratiche meditative possono emergere anche aspetti nascosti dell’inconscio che vengono alla luce. Quando questa emersione provoca un conflitto ecco dischiudersi una grande possibilità di cambiamento e colui che sta praticando può continuare a rivolgersi non solo allo Yoga, ma anche alla Psicoterapia nelle sue diverse espressioni. Lo scopo ultimo rimane sempre il conoscere se stessi e la conquista della propria libertà, autenticità.
Bibliografia consigliata
C. G. Jung, La saggezza orientale, Bollati Boringhieri, 1983;
A. Lowen, La spiritualità del corpo, Astrolabio, 1994;
Osho, Il libro dei segreti, Bompiani, 2006;
Gitananda Giri, Hatha Yoga, Ed. Lakshmi, 2009;
Gitananda Giri, La voce del serpente, Ed. Lakshmi, 2010;
S. Redini, Pranayama. Dal respiro nel corpo al corpo nel respiro, Om Edizioni, 2015;
“Il Cervello triunico”, su www.lospaziodell’uomo.org
Il Maestro (Divyashakti Yogin) Alberto Camici è nato in Italia a Livorno e vive ai Castelli Romani. Ha iniziato lo studio e la pratica dello Yoga e della Meditazione fin da adolescente nel 1977 sotto l’ispirazione di suo nonno paterno e l’ha continuato ininterrottamente fino ad oggi. Ha conosciuto nel suo lungo percorso diversi maestri e testimoni della diffusione dello Yoga in Occidente, come Andrè Van Lysebhet, Gerard Blitz, Eric Baret. Specializzato in Antropologia e Teologia ha pubblicato saggi e monografie a carattere Esoterico e Spirituale.
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