Ho pensato di proseguire, nella scelta dell’argomento che vi presenterò, una certa linea, ovvero, di soffermarmi ancora sulla sfera relativa all’infanzia poiché, così come già accennato negli articoli precedenti, le esperienze vissute da un bambino, nei primi mesi e anni di vita, sono determinanti per la sua crescita e per lo sviluppo della personalità che strutturerà da adulto.
Pertanto, lo scopo di questo lavoro è di porre in evidenza come le esperienze interattive con gli adulti significativi, nella prima infanzia e nell’adolescenza, siano decisivi sulla formazione dell’identità e della personalità.
In tal senso, la tematica che propongo in questa sede è la trattazione relativa agli stili di attaccamento e come questi influenzino lo sviluppo della personalità. Intendo, inoltre, approfondire nel corso dei prossimi incontri alcuni sistemi maladattivi della personalità stessa.
Cos’è l’attaccamento
L’attaccamento può essere definito come un legame emotivamente significativo nei confronti di una specifica persona, dunque, una tendenza a cercare e mantenere un contatto con figure significative. Si può meglio definire come una tendenza innata e primaria che motiva la persona durante tutto l’arco della vita.
La caretteristica di questo primo scambio è la bidirezionalità, la quale consente al bambino lo sviluppo di un senso di sicurezza e di fiducia in se stesso, nonché un rafforzamento della relazione tra lui e l’adulto. Tale relazione, come vedremo in seguito, sembra, altresì, essere decisiva nell’organizzazione delle rappresentazioni mentali che il piccolo avrà di sé e degli altri.
La teoria dell’attaccamento
Quando si parla di teoria dell’attaccamento è inevitabile far riferimento allo psicoanalista John Bowlby, il quale sosteneva che “l’attaccamento è parte integrante del comportamento umano dalla culla alla tomba” (Bowlby J., 1969), dunque, l’attaccamento riveste un ruolo centrale nelle relazioni tra gli esseri umani, dalla nascita alla morte.
La suddetta teoria postula che gli esseri umani hanno una predisposizione innata a formare relazioni di attaccamento con le figure genitoriali primarie e che tali relazioni hanno la funzione di protezione dell’individuo. L’attaccamento ha quindi la funzione biologica di garantire al piccolo una protezione ed una funzione psicologica di fornire allo stesso sicurezza.
Bowlby per delineare la sua teoria si è basato su concetti mutuati da diverse fonti, in particolare si interessò agli studi di M.K. Harlow sulla privazione di cure materne in macachi rhesus nei primi mesi di vita. Tali studi evidenziarono la preferenza dei piccoli macachi per un soffice sostituto materno artificiale che fosse in grado di offrire esclusivamente calore, rispetto ad un freddo simulacro di ferro in grado di nutrirli. Le reazioni comportamentali ed emotive delle piccole scimmie sembravano dimostrare una tendenza innata alla vicinanza con l’ “altro”.
Il merito di Bowlby sta proprio nell’aver adottato tale ottica per lo studio di funzioni molto più complesse, ovvero, quelle che coinvolgono lo sviluppo delle relazioni sociali dell’uomo. La ricerca di vicinanza fisica appare come il fulcro dell’attaccamento, infatti anche se successivamente la relazione di attaccamento diventa estremamente sofisticata e astratta, spostandosi progressivamente da un piano spaziale e fisico ad uno relazionale, la sua finalità immediata, almeno nell’infanzia, sembra risiedere proprio nel produrre come risultato la prossimità fisica al genitore.
Bowlby giunse a sostenere che la relazione tra madre e bambino che si sviluppa durante i primi mesi di vita ha l’effetto di mantenere il bambino in stretta prossimità con la figura materna, mettendo in atto un sistema di schemi comportamentali come il sorriso, la vocalizzazione, il pianto, il sollevare le braccia; azioni tutte volte alla ricerca della sicurezza. Si tratta di un processo presente sin dalla nascita e che tende a persistere in tutto il ciclo di vita. Bowlby sostiene, inoltre, che i genitori hanno il compito di fornire una base sicura al proprio bambino dalla quale possa partire per esplorare il mondo esterno e verso cui possa ritornare nel momento del bisogno sapendo per certo che sarà confortato, e rassicurato. Tale ruolo del genitore consiste nell’essere disponibile, nel dare assistenza intervenendo, tuttavia, solo nei casi in cui sia necessario. L’esigenza di una figura di attaccamento come base sicura si evidenzia nell’infanzia ma ciò riguarda anche l’adolescenza e l’età adulta.
Attaccamento come base sicura
Mary Ainsworth fu la prima a usare l’espressione base sicura, proprio per indicare l’atmosfera di sicurezza creata dalla madre, consentendo al bambino l’esplorazione dell’ambiente. Mary Ainsworth ha analizzato l’organizzazione dell’attaccamento in età infantile attraverso una procedura osservativa definita come Strange Situation in cui erano esaminate le risposte di un bambino di un anno, posto in un ambiente non familiare con una persona estranea e la propria madre la quale, secondo tale procedura, in alcuni momenti si assentava dalla stanza lasciando il piccolo da solo. La Ainsworth sosteneva che le differenze nelle risposte di attaccamento dei bambini dipendessero dalla qualità delle cure materne ricevute, dalla sensibilità materna intesa come la capacità della madre di comprendere i bisogni del bambino e di rispondere ad essi in modo soddisfacente. In base alle reazioni dei bambini nella fase di allontanamento e di riavvicinamento con la propria madre la Ainsworth ha classificato tre tipi di attaccamento: l’attaccamento sicuro (B), l’attaccamento insicuro-evitante (A), l’attaccamento insicuro-resistente/ambivalente (C).
Attaccamento sicuro
I bambini sicuri si mostrano angosciati al momento della separazione dalla madre: abbandonano l’esplorazione e il gioco, cui si erano dedicati fino a quel momento, e manifestano i comportamenti di attaccamento. Tuttavia, certi del ritorno della madre, riprendono a giocare poco dopo. Una volta ricongiunti a lei, la salutano allegramente per poi tornare nuovamente all’attività ludica.
Gli studi dimostrano che le madri dei bimbi sicuri sono sensibili ai loro segnali: rispondono prontamente al pianto, guardano e sorridono ai loro bambini, mostrano interesse nel parlare e giocare con loro. Sostanzialmente, i bambini con un attaccamento sicuro sanno di potersi fidare della propria madre, disponibile e sensibile alle loro richieste, si sentono amati e protetti.
In tale contesto relazionale, i “bambini sicuri” sviluppano rappresentazioni positive sia della figura di attaccamento che di sé: la prima, come accettante, il secondo, come amabile. Vivendo una relazione basata sulla fiducia reciproca e sulla disponibilità emotiva e fisica, questi bambini si sentono, da un lato, liberi di cercare il contatto della figura materna e, dall’altro, sicuri e tranquilli nell’esplorazione del mondo e delle novità che lo caratterizzano.
Attaccamento insicuro-evitante
I bambini evitanti mostrano uno scarso disagio al momento della separazione dalla madre, e la ignorano anche al suo ritorno. Questi bambini appaiono alquanto inibiti nell’esplorazione e nel gioco sia in presenza della figura materna, sia in sua assenza.
Tali madri interagiscono poco con i propri figli: non li ascoltano, né parlano con loro. Di fatto, la relazione di attaccamento tra questi bambini e le loro madri è principalmente costituita dall’assenza di una reale interazione. In alcuni casi, tale condizione è dovuta al fatto che la figura materna è assente e disinteressata (talvolta a causa di una malattia psichica o organica); in altri casi, invece, è eccessivamente presente, al punto da mostrarsi invadente e opprimente e, allo stesso tempo, incapace di ascoltare le necessità del piccolo.
I bambini caratterizzati dal succitato stile di attaccamento hanno sperimentato l’inaccessibilità della loro figura di attaccamento, e hanno imparato a fare a meno di lei. In sostanza, l’evitamento della figura di attaccamento costituisce una strategia per controllare l’aggressività sperimentata nella relazione, e legata al senso di abbandono materno; più precisamente, il bambino con questo stile di attaccamento evita di manifestare apertamente i suoi bisogni, o i suoi sentimenti di rabbia, perché teme di perdere la madre, di cui, invece, ha disperatamente bisogno.
La base da cui si svilupperanno le rappresentazioni mentali dei “bambini evitanti” è l’idea di una relazione primaria caratterizzata dall’assenza d’intimità e sicuramente basata sul rifiuto. Pertanto, la figura di attaccamento sarà percepita come rifiutante, e si maturerà un’immagine del sé come tendenzialmente indegno di amore.
Attaccamento Insicuro/Ambivalente
I bambini ambivalenti sono fortemente angosciati al momento della separazione dalla madre, ed è difficile o impossibile tranquillizzarli, anche quando si ricongiungono a lei. Il loro comportamento è incoerente: può oscillare tra momenti di rabbia e altri di disperata ricerca di affetto e contatto.
Le madri di questi bambini sono solite ignorare le richieste di attenzione dei figli, mostrandosi insensibili ai loro segnali e imprevedibili nelle loro risposte.
È proprio sull’imprevedibilità che si basa la relazione d’attaccamento tra i “bambini ambivalenti” e le loro madri. In particolare, l’imprevedibilità manifestata dal piccolo è legata all’impossibilità di prevedere e controllare le reazioni della figura materna, e all’incapacità di conquistarla, allo stesso tempo, però, il bambino non riesce a fare a meno di lei; nell’ambito della relazione, pertanto, alterna manifestazioni di forte rabbia ad altre di notevole remissività.
L’imprevedibilità gioca un ruolo fondamentale anche nella creazione e nel successivo sviluppo delle rappresentazioni mentali. Le aspettative del bambino sull’esito della relazione sono molto incerte, il bambino percepirà la figura di attaccamento talvolta capace di fornire protezione e cure, talvolta distante e inaccessibile. In queste condizioni, il bambino tenderà ad attribuire a se stesso il merito, o la colpa di ottenere o perdere l’affetto della figura di riferimento, non riuscendo a maturare un’identità stabile di sé.
Il piccolo con uno stile di attaccamento ambivalente cerca la vicinanza in modo intenso ed eccessivo, con lo scopo di esercitare un costante controllo sulla figura di attaccamento, e renderla, così, più prevedibile. I “bambini ambivalenti” preferiscono, infatti, evitare l’esplorazione di spazi sconosciuti, per timore di incorrere in novità pericolose.
Un quarto pattern di attaccamento è stato individuato poi da Main e Solomon (1986, 1990), definito disorganizzato/ disorientato per descrivere l’insieme di comportamenti spaventati, strani, disorganizzati e apertamente in conflitto, manifestati durante la procedura della Strange Situation, comportamenti che non erano stati chiaramente definiti precedentemente.
Attaccamento Disorientato/ Disorganizzato
Esistono bambini che mettono in atto comportamenti contraddittori e disorganizzati nella relazione: possono mostrarsi evitanti e, dunque, ignorare la madre al momento del ricongiungimento con lei, o ambivalenti, piangendo disperatamente al momento della separazione. Frequentemente, al momento della separazione dalla figura materna, i piccoli con questo stile di attaccamento possono immobilizzarsi improvvisamente, emettere suoni incomprensibili, sdraiarsi a faccia in giù. Nel complesso, la loro condotta appare strana, stereotipata, conflittuale.
Le madri di questi bambini tendono a interagire con i propri figli mostrandosi tristi, preoccupate, ansiose, spaventate. Sostanzialmente, appaiono distratte e, pertanto, poco o per niente sintonizzate sulla relazione con il piccolo. Quest’ultimo, non avendo comprensione di cosa spaventi la madre, interpreterà la sua espressione di paura come una minaccia, e si troverà, così, nella terribile condizione di voler, da una parte, prendere le distanze dalla figura di attaccamento poiché percepita come pericolosa e angosciante, dall’altra di desiderarne il contatto e la protezione.
Ciò che caratterizzerà questi bambini sarà l’ostilità verso l’altro, il quale verrà percepito come un nemico. In considerazione di quanto descritto il bambino, nel corso dell’interazione col proprio ambiente, costruisce delle rappresentazioni interne su di sé e sulla relazione stessa. Tali rappresentazioni funzionano come mappe di comportamento, che continuano ad essere attivate nel corso dello sviluppo. In questo modo le esperienze successive sono strutturate ed interpretate sulla base di tali rappresentazioni intrapsichiche di sé e degli altri.
Modelli Operativi Interni e Organizzazione della Personalità
Tali rappresentazioni, meglio conosciute come Modelli Operativi Interni, sono da intendere come dei modelli relazionali o schemi che raccolgono certe relazioni essenziali tra elementi della realtà esterna, attraverso le quali l’individuo sarà in grado di formulare previsioni sull’andamento futuro dei fenomeni rappresentati (Craick, 1943).
Nei primi anni di vita, dunque, i MOI sono relativamente aperti al cambiamento, in relazione al mutare della qualità dell’interazione con le figure di accudimento, tuttavia, nonostante le necessità di cambiamento, tali modelli non rimangono in una condizione fluttuante e già nel corso dell’infanzia iniziano a strutturarsi; gli stessi arrivano ad operare a livello inconsapevole e, dunque, divenire caratteristiche progressivamente stabili della personalità più che della relazione, così da rendersi disponibili nell’adolescenza e in età adulta come gamma di modelli gerarchicamente organizzati e riferiti a diffeenti aspetti della realtà.
I modelli operativi interni hanno, dunque, la funzione di veicolare la percezione e l’interpretazione degli eventi da parte dell’individuo, consentendogli di fare previsioni e crearsi aspettative sugli accadimenti della propria vita relazionale.
Un bambino con un attaccamento sicuro acquisirà un modello operativo interno relativo alla persona che si prende cura di lui come sensibile, amorevole, affidabile e di sé come degno e meritevole di cure e amore. Si instaura così un circolo virtuoso in cui il bambino accrescerà la sua autostima e la capacità di gestione delle situazioni in cui dovrà confrontarsi. Ciò andrà a determinare il tipo e la qualità positiva delle sue relazioni future.
Al contrario, un bambino che sperimenta un attaccamento insicuro può percepire il mondo come un luogo pericoloso e si considererà incapace e indegno di essere amato. Il fanciullo sarà, tuttavia, portato a mettere in atto comportamenti di autodifesa, anche se disadattavi, al fine di tutelare la sopravvivenza e il proprio benessere.
Ne consegue che la sicurezza (o insicurezza) interiore che il bambino sviluppa sono connesse alla futura capacità di autorealizzazione. La capacità, dunque, di affrontare gli eventi in momenti critici o di cambiamento, dipenderà proprio dal senso di sé che si è potuto sviluppare in questa delicata fase della vita.
Il senso di sé e l’autostima si formano e si costruiscono in funzione di tale relazione primaria. Inoltre, il legame che il bambino sperimenta in questa relazione con il caregiver, ossia la persone che si prende cura di lui, modellerà i successivi legami, poiché l’individuo, nel rapporto con l’altro, porta con sé tutto il bagaglio delle prime esperienze fondamentali.
Bibliografia
-Ainsworth M.D.S. (1979). Attachment as related to mother-infant interaction. Adv. Study Behav., 9, 2-52.
-Bowlby J. (1969). Attaccamento e perdita. I. L’attaccamento alla madre. Torino, Boringhieri, 1976.
– Craik, K. (1943). The nature of explanation. Cambridge, England: Cambridge University Press.
-Harlow H.F., Zimmermann R.R. (1959). Affectional responses in the infant monkey. Science, 130, 421-432.
-Main, M. & Solomon, J. (1986) Discovery of a new, insecure – disorganized/disoriented attachment pattern. In T. B. Brazelton & M. Yogman (Eds), Affective development in infancy, pp. 95 – 124. Norwood, New Jersey: Ablex
-Main, M. & Solomon, J. (1990). Procedures foridentifying disorganized/disoriented infants during the Ainsworth Strange Situation. In M. Greenberg, D. Cicchetti & M. Cummings (Eds), Attachment in the preschool years, pp. 121 – 160. Chicago: University of Chicago Press.
La Dottoressa Nicoletta Dezi è psicologa, laureata presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” e svolge l’attività clinica presso gli studi di Roma e Velletri. Dal 2006 svolge attività clinica di supporto psicologico a bambini e adulti, diagnosi dei disturbi dell’apprendimento nell’età evolutiva e riabilitazione cognitiva.
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