Pubblichiamo una lettera-ricordo che Luca Leoni ha voluto dedicare a Guido Di Vito, fra i più noti giornalisti del panorama informativo di Velletri, scomparso ieri, martedì 6 maggio, all’età di 75 anni. Guido Di Vito è stato direttore del settimanale “Il Cittadino” e negli ultimi anni, prima che il settimanale “Milleluci” chiudesse, ha tenuto una rubrica come opinionista della politica e della vita sociale, non solo di Velletri. Luca Leoni, che per anni ha contribuito al giornalismo culturale di Velletri, proprio su “Il Cittadino” diretto da Di Vito, ci ha voluto regalare un intenso ritratto dello storico giornalista scomparso.
Ho conosciuto Guido nell’autunno 1995, nel suo ufficio in penombra di vicolo Moscatelli. La tragedia di sua figlia s’era già consumata. Le pareti povere di quell’ex atelier di maniscalco erano adornate, soprattutto, dalle foto di quel suo amore/dolore. Ebbe i modi sospettosi, ma bonari, del maestro artigiano che prende in bottega l’apprendista. Così gli avevano insegnato, a lui, figlio primogenito di un artista e modello di papà Benedetto per alcune sue opere: una fra tutte, il fanciullo accanto al gigantesco S. Girolamo Emiliani che, sulla terrazza della canonica della chiesa di S. Martino, indicava il Paradiso.
Mi raccontò dei periodi di magra, durante la Ricostruzione, quando suo padre era costretto a chiedere a ‘Ciarlitto ‘o scarparo’ di portare pazienza, per i pagamenti delle calzature dei suoi figli. E di tanti suoi compagni delle elementari che vestivano di stracci e scarpe riusate chissà quante volte. Una foto della Velletri che fu la portava sempre nel cuore: quella del distrutto palazzo tardobarocco Gregna-De Bonis, che stava di fronte alla facciata della chiesa di S. Martino e il cui portale in peperino, secondo la tradizione, proveniva dal castello del Maschio di Lariano.
In quel palazzo Guido era nato e vissuto, prima che fosse danneggiato dai bombardamenti alleati del 22 febbraio 1944 e poi demolito. In quel tugurio di vicolo Moscatelli, su un bancone adattato a scrivania, aveva sempre davanti agli occhi le foto dei suoi genitori. Ed era affezionato a quella insieme agli altri membri del settimanale ‘La Torre’ (lui, Leotta, Rosatelli, Carbonelli, don De Mei) scattata nei pressi di Porta Napoletana. Lui, proveniente dall’artigianato, in età matura si era faticosamente ma caparbiamente guadagnato un posto al sole nel panorama giornalistico locale. E ne andava giustamente fiero, di quella passione/sogno nel cassetto per la quale aveva sacrificato gran parte della sua vita professionale e privata. Era operativo giorno e notte, pronto ad immortalare e documentare eventi tragici e solenni, esclusive e chicche. Ricordo come fosse ieri la mattina che andammo a Roma, insieme a Tommaso Leotta, alla conferenza stampa per l’avvenuto rinvenimento della ‘Croce Veliterna’. Mi confidò che la macchinetta fotografica “sembrava essere impazzita”, nelle sue mani, tanta era la gioia per quell’evento. Di pugnalate alle spalle ne ha ricevute tante. Non saprei tenerne il conto.
Da tutti i tipi di ‘amici’ e da tutti i tipi di portaborse, galoppini, potenti e impotenti. Forse perché chi, come ha fatto Guido per decenni, gestisce la cronaca è un filtro, che deve sciropparsi le acque pulite e le acque sporche della società. E poi, in un villaggio postmedievale come il nostro, in cui vige tutt’ora la massima “Ce li hai, i soldi? No? E allora non capisci niente!”, uno come Guido, che ha avuto l’ardire di passare dalla termoidraulica al giornalismo era scomodo, a tratti imbarazzante. Da ridicolizzare, insomma. Guido non ha mai gettato la spugna. Anzi, non l’ha mai usata neanche per inumidirsi le labbra negli ultimi istanti di vita terrena. Al massimo, l’avrà usata qualche volta per rinfrescarsi i piedi durante le lunghe ore che è stato inchiodato al letto dalla malattia. Poteva essere simpatico o antipatico, ma sulla sua onestà intellettuale (e prima ancora, integrità morale) lancio la sfida a chiunque voglia eccepire o dissentire. A ciascuno il suo, ha scritto Sciascia. A Guido Di Vito vada tutta la riconoscenza di una comunità con una lunga tradizione storica che egli ha tanto amato e, soprattutto, cercato con tutte le sue forze di svegliare dal torpore e rendere vigile contro le tentazioni e gli squallori del potere.
Luca Leoni