Disturbo Evitante di Personalità

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Con il presente articolo introduciamo la descrizione dell’ultimo insieme con cui sono stati suddivisi i disturbi della personalità, ovvero il gruppo C o cluster Ansioso. Il primo sistema maladattivo che ho pensato di esaminare è il Disturbo Evitante di Personalità.

Il comportamento evitante inizia, sovente, nella prima infanzia o più generalmente nell’infanzia con timidezza, isolamento, timore degli estranei e di nuove situazioni. Sebbene la timidezza, in tale periodo evolutivo, sia un comune precursore di tale disturbo, nella maggior parte degli individui tende a svanire gradualmente con la crescita.

Di contro, gli individui che sviluppano il Disturbo Evitante di Personalità possono diventare progressivamente più timidi ed evitanti durante l’adolescenza e la prima età adulta, quando le relazioni sociali con nuove persone diventano particolarmente importanti. Esistono delle evidenze empiriche che mostrano come tale sistema maladattivo tende ad essere meno evidente o ad andare incontro a remissione con l’età. Nei clinici, tale diagnosi dovrebbe essere usata con estrema cautela nei bambini e negli adolescenti, per i quali la timidezza e il comportamento evitante possono essere appropriati rispetto allo sviluppo (American Psychiatric Association, 2014). Il Disturbo Evitante di Personalità sembra essere ugualmente frequente nei maschi e nelle femmine.

 INDICI DESCRITTIVI

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La caratteristica sostanziale del Disturbo Evitante di Personalità è, secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, DSM – 5, un pattern pervasivo d’inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio negativo, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in molteplici contesti.

Gli individui affetti da tale disturbo evitano le attività lavorative che implicano un significativo contatto per timore di essere giudicati, disapprovati o rifiutati. Possono, dunque, rinunciare a offerte di promozione sul lavoro poiché le nuove responsabilità potrebbero determinare un eventuale critica da parte dei colleghi. Tali persone evitano la possibilità di fare nuove amicizie, a meno che non siano certi di piacere e di essere accettati senza alcuna critica; fintantoché non superano prove rigorose che dimostrano il contrario, gli altri sono ritenuti critici e disapprovanti. Gli individui con questo disturbo sono reticenti a unirsi ad attività di gruppo, a meno che non vi siano ripetute offerte di supporto e di accudimento. L’intimità interpersonale è, sovente, difficoltosa sebbene siano capaci di stabilire relazioni intime nei casi in cui è assicurata loro un’accettazione incondizionata. Sotto il profilo sociale possono agire con inibizione, avere difficoltà a parlare di sé e celare sentimenti intimi per timore di esporsi, di essere ridicolizzati o umiliati, possono, ancora, essere particolarmente sensibili nell’avvertire qualunque reazione da parte degli altri.

Se qualcuno, anche minimamente, li disapprova o li critica possono sentirsi estremamente feriti. Tendono a essere timidi, inibiti, e “invisibili”, per timore che qualsiasi attenzione sia umiliante o rifiutante. Si aspettano che, indipendentemente da quello che dicono, gli altri lo ritengano “sbagliato” e quindi evitano di parlare o di pronunciarsi. Le persone con Disturbo Evitante di Personalità si sentono continuamente inadeguati ed hanno una bassa autostima, è per questo motivo che sono inibiti dalle situazioni interpersonali. In circostanze che implicano interazioni con estranei diventano particolarmente manifesti i dubbi riguardanti la competenza sociale e l’attrattiva personale. Credono, pertanto, di essere socialmente inetti, non attraenti o inferiori agli altri. Sono insolitamente riluttanti ad assumere rischi personali o a impegnarsi in qualsiasi nuova attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante. Tali persone sono inclini a esagerare circa i potenziali pericoli di situazioni ordinarie e dalla loro necessità di certezza e sicurezza può derivare uno stile di vita coartato. Alcuni di questi individui possono, ad esempio, disdire un colloquio di lavoro per timore di mostrare imbarazzo a causa, secondo loro stessi, del proprio abbigliamento che potrebbe non risultare adeguato alla circostanza, oppure sintomi somatici marginali o altri problemi trascurabili possono diventare la ragione per cui evitano nuove attività.

 IPOTESI PATOGENA

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Sebbene le prime esperienze di attaccamento potrebbero essere state sufficientemente adeguate ed abbiano potuto aver preservato un desiderio di contatto sociale dell’individuo, così come spiegato da Lorenzo Recanatini nel libro “Scusate il Disturbo”, sarebbe, tuttavia, presente in famiglia un eccessivo controllo da parte delle figure genitoriali, finalizzato alla costruzione, nel bambino, di un’immagine sociale fonte di apprezzamento. Pertanto, il piccolo è “costretto” a coltivare un’immagine sociale ammirevole. Le imperfezioni e gli sbagli sarebbero vissuti sia da parte di quest’ultimo che dai genitori con grande imbarazzo e umiliazione.

I familiari, oltre ad esortare il bambino ad essere lodevole, cadono nel deridere in modo umiliante ogni suo fallimento. Tale condizione spiegherebbe la grossa autocritica, la scarsa stima di sé e l’estrema sensibilità all’umiliazione e al giudizio altrui, proprie degli individui con tale profilo di personalità, i quali pur essendo in grado di fornire prestazioni adeguate, sono soggetti a forti preoccupazioni nell’esporsi pubblicamente, temono costantemente di fare errori, controllandosi e limitandosi in continuazione.

Nonostante sia la famiglia stessa che, in talune circostanze, ridicolizzi e rifiuti il fanciullo, è forte il messaggio veicolato dalla suddetta, come principale fonte di sostegno; la lealtà al nucleo familiare sarebbe, dunque, di fondamentale importanza, mentre gli altri, ovvero le persone o gli ambienti esterni verrebbero descritti come critici e rifiutanti. L’evitante può, pertanto, assumere un atteggiamento paranoide nei confronti delle persone che conosce poco, pensando che le stesse lo stiano sottoponendo a un severo esame e lo stiano valutando negativamente. Altresì, le false promesse di sicurezza, infuse tra le mura domestiche, potrebbero, piuttosto, incoraggiare una forma di “dipendenza disordinata” nei rapporti intimi.

 CARATTERISTICHE INTERPERSONALI

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 Gli individui con Disturbo Evitante di Personalità, sovente, valutano con attenzione le espressioni di coloro con cui entrano in contatto. Il loro contegno timoroso e teso può suscitare scherno e derisione da parte delle altre persone, che a loro volta confermano i loro dubbi. Questi individui sono molto ansiosi a causa della paventata possibilità di reagire a una critica con rossore sul viso o addirittura piangendo.

Va evidenziato che le personalità evitanti desiderano stare insieme agli altri, tuttavia, hanno paura del loro giudizio, vorrebbero il contatto ma non intendono cercarlo, a meno che non abbiano prove certe di essere pienamente accettati. Prevale in loro porre della distanza al fine di proteggersi.

Sono descritti dagli altri come “riservati”, “timidi”, “solitari” e “isolati”. I principali problemi associati a questo disturbo si manifestano in ambito sociale e lavorativo. La bassa autostima e l’ipersensibilità alla critica o al rifiuto si associano a una riduzione dei contatti interpersonali. E’ questo il motivo che li predispone a un possibile isolamento non avendo un’ampia rete di supporti sociali che possa aiutarli a superare situazioni critiche. Tali persone desiderano affetto e accettazione e possono fantasticare su relazioni idealizzate con le altre persone.

(Tutte le immagini sono tratte dal libro di L. Recanatini, Scusate il Disturbo, una versione umoristica dei Disturbi di Personalità; edizioni Alpes)

 BIBLIOGRAFIA

American Psychiatric Association (2014). Manuale Diagnistico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM – 5). Raffaello Cortina Editore.

Recanatini L. (2008), Scusate il Disturbo, una versione umoristica dei Disturbi di Personalità; edizioni Alpes.

Nicoletta DeziLa Dottoressa Nicoletta Dezi è psicologa e psicoterapeuta; laureata presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” e svolge l’attività clinica presso gli studi di Roma e Velletri. Dal 2006 svolge attività clinica di supporto psicologico a bambini e adulti, diagnosi dei disturbi dell’apprendimento nell’età evolutiva e riabilitazione cognitiva.
Per saperne di più (clicca qui)

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Per chi volesse contattare direttamente la dottoressa Dezi, può inviare una mail al suo indirizzo: nicoletta.dezi@gmail.com

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